‘Ncoppa Aruopuli… in un borgo in cui il sole si mescola con il mare, terra di duelli, teatro di Presepi, tra scene di pastori e Re Magi… in un vicolo spartiacque, da un cumulo di macerie, in un forno antico con le tegole rosse… da ingredienti poveri, farine integrali, tramandate da antenati…in un giorno di Giugno del ’70… tra scatoli di bibite, cassette di legno della frutta e caratteristici cesti in vimini, dalla storia di una grande amicizia, nasce l’esclusiva “Pizza nei Cesti”. Il sapore è quello forte e deciso dei saraceni e la fantasia con cui viene servita, è la stessa che ha spinto, gli abitanti del luogo, a credere in un sogno che sembrava impossibile!
Solenni scaloni in pietra, una porta antica, una piccola chiesetta e un mare turchese che si infrange ai piedi di una collina. Vi accoglie così, oggi, il “Borgo Medievale di Agropoli”. Ma com’era tanti anni fa? A raccontarcelo è Giovanni Cirillo, fedele residente di ‘ncoppa Aruopuli, che nel tempo ha contribuito insieme ad altri cittadini allo sviluppo turistico di esso e ha visto nascere la rinomata “Pizza nei cesti”, simbolo per eccellenza di questi luoghi e vero e proprio orgoglio saraceno. Proviamo a ripercorrere la sua storia.
Correva l’anno 1977 e l’allora “affollato” borgo, si apprestava a fare i conti con delle primissime forme di turismo sporadico. Un borgo popolato (circa 500 residenti), dunque, ma non turistico! Come poteva, quello scorcio di paradiso, che si prestava così bene ad essere ammirato dal mondo intero, restargli invece sconosciuto? Questa fu la domanda, che insieme alla delusione, per il continuo disinteresse, mostrato da parte degli amministratori dell’epoca, spinsero con coraggio e dedizione, 13 abitanti del luogo, a unirsi in un’Associazione: “Gli amici del Centro Storico”, impegnati nel recupero e nella salvaguardia, di quest’ultimo.
Ma quali erano i nomi, di questi padri fondatori del turismo agropolese sul borgo? Per citarne alcuni: lo stesso Giovanni Cirillo, il patriarca Umberto Costa, l’Avv. Tommaso Mainenti, il motivatore Gerardo Buccino, Roberto Bilotti, Gino Ruocco, Gino Iannotta, Don Cesare, l’ex proprietario del Castello l’Arch. Dente, Francesco Baccari (detto Ciccio), Alfonso Severino (detto Fonzo), l’Avv. Bellia ed altri.
Allineati, svilupparono l’idea, che per creare movimento occorresse metter su manifestazioni ed eventi, capaci di attrarre la curiosità di passanti e vacanzieri. Sorgeva, così, nel lontano ’77, la prima manifestazione in assoluto nel Cilento: “Il Presepe Vivente”. Privo di stenti e autofinanziato (cinquantamila lire a testa, cento per chi poteva permettersi di investirne di più). Prettamente popolare, coinvolgeva tutti i cittadini del borgo, nelle vesti di figuranti (circa 200) e portava in scena animali e vecchi mestieri, sulla scia di una scenografia povera, fatta di oggetti ricercati dagli organizzatori, porta a porta, nelle campagne circostanti, quali ruote di carri, pentolame e vecchie botti, tutt’oggi scopribili nel centro storico.
Era l’alba di una svolta, quella che si ottenne con la seconda edizione del Presepe Vivente, dove gli abiti provenienti da Roma (gli stessi utilizzati da Zeffirelli per il suo film “Gesù di Nazareth”. Il successo fu tale, che le comparse si perdevano tra la folla (un pubblico di circa 5/6000 persone). Per ogni piccolo desiderio che si realizza, nasce un nuovo sogno in cui credere. Quella fu solo la spinta, che avvicinò i fautori, ad un nuovo, incredibile quesito: Perché non dare l’opportunità ai turisti che ci raggiungono, di poter acquistare o consumare all’interno di piccole botteghe, site nel centro storico? Seguirono veloci, gli spostamenti alla Camera del Commercio di Salerno, a caccia di licenze, ma i giovani abitanti del luogo, non riuscirono a credere in questo ambizioso progetto e gli stessi proprietari dei locali, si mostrarono restii ad affittarli. Fu durante una riunione, composta da poche persone, quattro o cinque al massimo, che si accese una lampadina: “Apriamo una pizzeria!”. E da questo momento, il racconto prosegue con gli occhi lucidi di Giovanni Cirillo, che ricorda…l’Avv. Mainenti, mise a disposizione un vecchio locale abbandonato: “Sistematelo!”, queste furono le sue parole incoraggianti.
Un’immensa porta settecentesca, si aprì di fronte a quella che era una situazione disastrante: mura senza intonaco facevano da scenario a concime, galline e scarafaggi. Ma infondo a tutto, si scorgeva una speranza, un forno di 300 anni, fatto in pietra e con le tegole rosse. Iniziò così per Giovanni Cirillo, Umberto Costa e Roberto Bilotti, un sacrificante lavoro di pala e sudore, che portò alla sistemazione dell’intero magazzino. In un gomitolo di viottoli e stradine, vi era un vicolo che raccoglieva l’acqua piovana e che per questo motivo era denominato dagli abitanti stessi “U’ Suricin”. Proprio in quel vicolo, dove durante l’assalto, secondo la leggenda, i saraceni si erano fermati a riposare sotto all’arco, e dove vi era collocato questo esercizio, cumulante di macerie e che da quel momento in poi, avrebbe conservato tale nomignolo.
Fondamentali si mostrarono le esperienze di Roberto Bilotti, che in seguito ai suoi studi, nella città partenopea, elaborò una tesi di laurea, proprio sui forni a legna. Per abilità del maestro pizzaiolo, Giannino Volpe, detto u’ Ciculino, invece, prendeva forma l’impasto nelle classiche “bagnarole”, che poi veniva lavorato a terra, su pietra. Il desiderio era quello di portare a tavola una pizza che ricordasse quella cotta dai propri antenati e così, si decise di usare la farina integrale prima e successivamente un impasto formato dall’unione di cinque tipi diversi di farina. Era un giorno di giugno, degli anni ’70, quando sarcini di ulivo ardevano e quel forno tricentenario, veniva acceso per la prima volta: “Ci volle mezza giornata, ma era buonissima…!”, ricorda Giovanni Cirillo. Di fronte agli occhi stupiti, di trenta spettatori circa, uscì la prima pizza, di un bel rosso acceso, grazie alla salsa cotta con cui era condita. Si iniziarono a vendere le prime pizze e si stilarono i primi gusti, in un menù semplice, ma destinato a crescere: pizza Cilentana (con pomodoro), pizza Margherita (con pomodoro e mozzarella) e la famosa pizza Saracena (con alici, capperi, olive e pomodorini).
Ma per uomini coraggiosi, quali erano gli abitanti del borgo, l’impasto non poteva rappresentare l’unica novità. Anche i complementi d’arredo dovevano esserlo, anzi avevano un compito davvero speciale, quello di creare aggregazione! Si optò per delle panche lunghe 2 metri ciascuna al posto delle solite sedie, che permettevano a più comitive di sedere allo stesso tavolo e dialogare tra loro, stringere nuove amicizie e come è accaduto in alcuni casi, anche nuovi amori.
Una storia, questa di cibo e umanità! Ma la vera peculiarità, di questi imprenditori, affonda le sue radici nella scelta del servizio, che ancora oggi, rappresenta un modus del tutto innovativo e caratteristico, di questo luogo antico. I clienti si servono da soli, trasportando dal forno al tavolo, le pizze in cesti di vimini, intrecciati a mano da artigiani locali. In principio venivano utilizzati i cartoni delle bibite e le caratteristiche cassette di legno della frutta. Oggi il borgo conta un diverso numero di pizzerie, di cui le più datate, sono oltre a “U’ Suricin”, “U’ Sghiz”, “Barbanera”, il “Torrione”, il “Saraceno” e “La Piazzetta”. La pizza nei cesti rappresenta un vero e proprio attrattore turistico/enogastronomico del centro storico, oltre a rappresentare la vera peculiarità della zona. Oggi i commercianti del borgo si sono riuniti per portare avanti la propria identità e per divulgare, attraverso uno storytelling, un prodotto che ha contribuito alla nascita turistica di una delle zone più frequentate della città: ‘Ncoppa Aruopuli.
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